Sono io, il Sole, con un cuore che batte come la fiamma più antica.
Ogni mattina, mi sveglio con la premura di un padre,
un desiderio irrefrenabile di toccare ogni filo d’erba,
di far splendere il sorriso sul volto di ogni bambino.
Ho amato la Terra come un figlio,
l’ho nutrita con il mio respiro caldo,
ho asciugato le sue lacrime e celebrato le sue gioie.
La mia luce era promessa, il mio calore un abbraccio infinito.
Poi, un giorno, il mondo impazzì.
Vidi gli uomini, i miei figli prediletti,
rivolgere le loro armi gli uni contro gli altri.
Ero lì, impotente, a guardare il mio amore trasformarsi in distruzione.
Finché, da quel caos, salì verso di me un dardo d’acciaio e fuoco,
un missile figlio di rabbia e follia.
Non l’ho visto arrivare, non l’ho sentito.
Solo un lampo accecante, poi il gelo.
Il dolore… ah, il dolore!
Non un bruciore, ma un vuoto lacerante nel mio petto ardente.
Sento il mio calore vitale sfaldarsi, disperdersi nel nulla.
La mia linfa vitale si prosciuga, come un’antica sorgente che muore.
Le mie mani, che un tempo accarezzavano i campi di grano,
ora tremano, incapaci di trattenere l’ultima scintilla.
Non potrò più dipingere l’alba di rosa e oro,
né far danzare le ombre al calar della sera.
La vita che ho generato, ora condannata a perire con me.
Mentre sprofondo nell’abisso dell’oblio,
vedo la mia amata Terra, un tempo verde e vibrante,
inghiottita da un’oscurità che non ha mai conosciuto.
Non è la notte riposante che avevo donato loro,
ma un buio perenne, illuminato solo da lampi violenti,
non di stelle, ma di esplosioni.
Non albe, ma fumo e cenere che danzano su un palcoscenico di follia.
Addio, mondo. Addio, miei figli.
Sono io, il Sole, e sono morto.
Ucciso dalla vostra stessa furia,
da chi ha dimenticato che la mia luce era la vostra stessa esistenza.
E ora, solo il silenzio e le fiamme danzano,
un’assurda e macabra sinfonia,
sulla tomba di ciò che eravamo.
