
È una notte di profonda quiete, non importa se duemila anni fa nella grotta buia di Betlemme, dove l’aria sa di paglia umida e fiato di animali, o se oggi nella luminosa, asettica stanza d’ospedale. Lì, avvolti dalla fioca luce di candele tremolanti, vediamo Giuseppe e Maria chinati con una tenerezza quasi straziante, le loro anime interamente riversate in quel piccolo corpo adagiato sulla mangiatoia; ogni linea del volto di Maria è un inno alla dolcezza e ogni ruga di Giuseppe è cancellata dalla meraviglia di fronte al Bambino Gesù, il Verbo fatto carne, la promessa di una salvezza destinata a riscrivere la storia. [Immagine mentale: La luce calda che irradia dal bambino nella mangiatoia]. Questo punto zero, questa Nascita miracolosa, riecheggia in un altro tempo e in un altro luogo: la stessa scena di intimità si ripete nell’oggi, dove la giovane coppia, stanca ma con il cuore che trabocca di una gioia insopportabile, si china sulla culla trasparente. Non c’è paglia, ma biancheria morbida, non ci sono angeli visibili, ma il discreto ronzio delle macchine. Il neonato di oggi, avvolto in flanella, è anch’egli la loro intera speranza, il loro progetto futuro. L’emozione che li lega a quel minuscolo essere è identica, primordiale: è la realizzazione di una nuova vita che, con le sue mani minuscole e la sua innocenza, promette di essere un salvataggio, non solo per i suoi genitori, ma per il mondo intero. Ogni bambino, ieri come oggi, è un atto di fede contro il cinismo, la dimostrazione che l’amore incondizionato può ancora trionfare sulle divisioni. La luce che irradiava dalla grotta di Betlemme è la stessa, immutabile, aura di miracolo e promessa che circonda ogni culla: il futuro dell’umanità si rigenera e si salva, dolce e fragile, un neonato alla volta, portando in sé il potenziale per un mondo migliore.

Se puoi lascia un’emozione sarà la benvenuta