









Il sole di luglio picchiava sulla Giara di Gesturi, dove i cavallini selvatici sembravano ammiccare, e lambiva le acque turchesi della Costa Smeralda, ma noi eravamo nel cuore più vero, nell’Ogliastra aspra e profumata, in un cortile che sapeva di pietra antica e di attesa. Si celebrava il matrimonio di Tiziano e Aurora. Tiziano, diciamocelo, era un concentrato di testosterone e gel per capelli, un metro e novanta di pura “calientezza” sarda, che fissava la sua sposa con occhi così ardenti da far temere un incendio boschivo. Aurora, poveretta, sembrava un mirto appena colto, pallida, timida, e così imbarazzata che ogni volta che Tiziano le sfiorava la mano, lei si ritraeva come se avesse toccato un masso incandescente. L’atmosfera era tesa, grottesca, a metà tra un dramma shakespeariano e una soap opera sudamericana. Gli invitati si scambiavano sguardi sardonici, bisbigliando: “Non faranno la notte, quello la spaventa a morte!” Il prete tossiva, imbarazzato. L’unica salvezza, l’unica cosa in grado di sciogliere l’imbarazzo e unire gli opposti, era la dea della cucina sarda, Nonna Gavina, e il piatto che aveva preparato: i Culurgiones. Nonna Gavina, con la sua faccia rugosa come l’entroterra e la forza di un Nuraghe, batté le mani. “Basta patetici sospiri! È ora di mettere le mani in pasta, Tiziano, o la tua sposa scappa prima del caffè!” Tiziano, galvanizzato dall’idea di “mettere le mani”, si precipitò sulla spianatoia. Aurora lo seguì, stranamente incuriosita, la sua timidezza un attimo in stand-by. Gavina spiegò: “Per la pasta, ci vogliono pazienza e fermezza. Impastiamo insieme Semola rimacinata di grano duro e un poco di farina 00 (circa 700 grammi in totale), con un pizzico di sale, un cucchiaio d’olio EVO e l’acqua tiepida necessaria per legare il tutto.” Aurora, delicatissima, impastava con grazia, quasi accarezzando la farina. Tiziano, volendo dimostrare la sua virilità anche con l’impasto, iniziò a schiacciarlo con pugni degni di un lottatore di Istrumpa. L’impasto, spaventato, schizzò sulla faccia di Tiziano, lasciandolo bianco e ridicolo. Risate a crepapelle! Tiziano si asciugò, ridendo di sé, e Aurora per la prima volta quel giorno, sorrise di gusto, un sorriso così liberatorio che il sole brillò più forte. L’impasto fu messo a riposare, avvolto nella pellicola, “perché le cose belle devono riposare, come i mariti dopo il primo ballo!” sentenziò Gavina. “Ora l’anima sarda, il ripieno dell’Ogliastra,” continuò Gavina. “Avete bollito le patate (circa 1 kg), schiacciatele bene, come la testa dei malanni! Aggiungete il tesoro: Pecorino Sardo grattugiato, saporito (almeno 150-200g), le foglie fresche di menta tritate finemente (il profumo del buon augurio!), l’olio EVO aromatizzato all’aglio (l’aglio lo leviamo, ci serve solo il profumo, sennò il bacio sa di stregoneria), e poi sale e pepe quanto basta.” Aurora miscelò il ripieno, inalando l’odore intenso e avvolgente di menta e pecorino. I suoi occhi si chiusero un attimo in un’espressione di pura beatitudine culinaria. Tiziano la osservò: non era la timidezza, era la concentrazione. Era la sua vera, appassionata essenza. Si tirò la sfoglia sottile e si ritagliarono i dischi. “Mettete una pallina di ripieno al centro di ogni disco,” istruì Nonna. Tiziano provò a chiudere. Fece una sorta di fagotto colloso, che sembrava piangere ripieno da tutti i pori. “Sbagliato, caliente! Non è un sacco da boxe, è un’opera d’arte!” Tiziano si arrese, osservando Aurora. Lei prese il disco, le dita mosse da un’antica sapienza: pizzicò i due lembi superiori e iniziò la chiusura a spiga, una cucitura perfetta, lenta e metodica, portando i bordi uno sopra l’altro con piccolissime pieghe. Pizzica a destra, pizzica a sinistra, sigilla come un segreto d’amore… Mentre la spiga prendeva forma, un gioiello d’arte bianca, la timidezza di Aurora si dissolse completamente. Era la maestra, la depositaria del sapere. Tiziano rimase a bocca aperta, non per la bellezza fisica, ma per la competenza e la grazia delle sue mani. “Sei… sei la Dea del Raviolo!” esclamò, e fu il complimento più sincero e meno caliente che le avesse fatto. Aurora arrossì, ma stavolta di orgoglio, non di imbarazzo, e finì la chiusura. I Culurgiones, con la loro chiusura a spiga simbolo di prosperità, furono tuffati nell’acqua salata, e in un attimo vennero a galla, perfetti. Furono conditi con un semplice e sublime sugo di pomodoro fresco e basilico e ricoperti di altro Pecorino Sardo grattugiato. Il primo boccone fu il bacio che non c’era stato. Tiziano e Aurora mangiarono in sincronia, gli occhi che si incontravano sul raviolo perfetto. Il sapore forte e sapido del pecorino, la freschezza della menta, la morbidezza della patata, tutto esplose in bocca. Tiziano lasciò cadere la forchetta: “Questo… questo è il vero fuoco!” E in un impeto di gioia genuina, senza un grammo di grottesca calientezza forzata, afferrò Aurora e le diede un bacio vero, lungo, davanti a tutti. Un bacio che sapeva di menta e formaggio. La folla esplose in urla, battimani e lacrime (per i Culurgiones, ovviamente!). Aurora, scossa ma felice, si strinse a lui. Il piatto aveva fatto la magia: aveva tolto la tensione e lasciato solo l’amore vero. La festa da imbarazzante si trasformò in un’unica, grande, comica, empatica celebrazione sarda, dove tutti ballarono a stomaco pieno, urlando a Tiziano: “Ricorda, la vera passione sta nella spiga chiusa bene!”.

Se puoi lascia un’emozione sarà la benvenuta