











La notte calabrese era tiepida e pregna di sale e profumo di gelsomino, sulla spiaggia di Capo Vaticano, dove le scogliere si tuffavano in un mare che l’eco delle risate rendeva ancora più blu cobalto, le torce illuminavano a giorno un banchetto improvvisato e caciarone come solo da queste parti si può, gli amici stretti, la famiglia allargata, tutti lì ad aspettare: la piccola Concettina non aveva fretta di nascere, ma la sua mamma, la formidabile Carmela, aveva un desiderio culinario irrefrenabile, la Nduja, non una qualunque, ma quella che preparava suo nonno, con il grasso del maiale, quel tanto di magro per la consistenza perfetta, e poi il peperoncino, quello forte, che ti fa sudare l’anima, macinato e amalgamato con una sapienza antica che quasi sembra un rito magico, il tutto insaccato con cura e lasciato a stagionare, un’attesa lunga, quasi quanto quella di un figlio!
E così, mentre Carmela si stringeva il pancione, il marito Tonino e tutti noi – compreso te, sì, tu che leggi, avvicinati e prendi questo bicchiere di Cirò Rosso, è corposo, sa di sole e fatica onesta – eravamo lì a preparare la cena più goliardica della storia: la pasta con la Nduja, non un sugo, ma una dichiarazione d’amore al piccante, Tonino con le lacrime agli occhi non per la commozione ma per la cipolla rossa di Tropea che affettava con maestria, le risate si sprecavano, la nonna urlava consigli sulla cottura al dente con un misto di affetto e rimprovero, il profumo della ‘Nduja che sciogliendosi nell’olio EVO – quello vero, calabrese – si mischiava all’odore iodato della brezza marina, e poi il pomodoro, denso e rosso, che accoglieva l’insaccato fuso in un abbraccio vibrante e focoso.
Il mare lì sotto, amico mio lettore, era un velluto scuro che rifletteva la luna grande, e le luci dei paesini arroccati sulla Costa degli Dei, come Tropea col suo Santuario che sembra sospeso tra cielo e acqua, erano lucciole sulla pelle della notte, una bellezza aspra e generosa come la gente di qui e come questa ‘Nduja che adesso, finalmente, stiamo per gustare – bevi un sorso di vino, non fare complimenti, che la ‘Nduja si rispetta con un buon rosso! – la pasta caldissima, un turbine di sapore che ti aggrappa la lingua e ti scalda il cuore, sentila, amico, questa vampa, è la Calabria che ti entra dentro!
E proprio nel momento in cui tutti, con la bocca in fiamme e gli occhi lucidi di piacere e vino, stavamo urlando “È la ‘Nduja più buona di sempre!”, si sentì un urlo, ma non di gioia culinaria: “Tonino, l’acqua!”, Carmela si era alzata con uno scatto da far invidia a un ghepardo, e in quell’atmosfera surreale, tra il profumo di ‘Nduja e la salsedine, con la chitarra di Zio Peppe che si zittì di colpo, il nonno esclamò: “Nascerà un peperoncino!”, e fu così che la piccola Concettina decise di unirsi alla festa, portando con sé la vurrìa (la voglia) di Calabria, piccante e indimenticabile, proprio come la ‘Nduja che l’aveva “chiamata” al mondo, e ti assicuro, amico lettore, che la prima cosa che Tonino disse dopo aver saputo che era nata, fu: “Un altro piatto di pasta, che mi è venuta fame!”. Cin cin alla piccola Concettina, il peperoncino più dolce e piccante della nostra amata terra!

Se puoi lascia un’emozione sarà la benvenuta