





La piazzetta di Sant’Eufemia a Maiella era un turbine di colori e allegria. Era la sera della festa di San Michele, e l’aria frizzante di ottobre profumava di mosto cotto e, soprattutto, di un sugo ricco e inconfondibile. Al centro del fermento, tra bancarelle di torrone e giostre per i più piccoli, c’era il tavolo di nonna Adele, la regina incontrastata della pasta fresca, e il suo segreto erano gli Spaghetti alla Chitarra. Si narra, e nonna Adele amava tramandarlo ai curiosi che si radunavano attorno al suo “laboratorio” improvvisato, che l’antenato di questa pasta fosse il “Maccherone a lu Rentrocele”, una preparazione nobile risalente al ‘500, a base di semola e albumi. Ma fu a fine Ottocento che si fece l’invenzione destinata a cambiare la storia della gastronomia abruzzese. Il marito di Adele, un falegname con la passione per le corde, prese un telaio di legno di faggio, lo trasformò in un rettangolo e tese su di esso sottili fili d’acciaio paralleli, così vicini da sembrare le corde di un piccolo strumento musicale, e così nacque la “chitarra”. “Mio marito diceva,” raccontava Adele con un sorriso, “che la pasta doveva ‘cantare’ per essere perfetta.” E in effetti, quando lei passava il matterello sulla sfoglia di pasta all’uovo posata sulle corde, la pasta si incideva ed emetteva un suono sommesso, quasi un arpeggio, scendendo nel vano sottostante con quella sua sezione quadrata, porosa e ruvida, il segreto per “abbracciare” il sugo come nessun’altra pasta. Mentre raccontava, le mani di nonna Adele non smettevano di lavorare, dimostrando la ricetta a chi voleva apprendere. Per fare gli Spaghetti alla Chitarra per quattro persone, lei disponeva 400 g di Semola di grano duro rimacinata a fontana sul tagliere, rompeva al centro 4 uova fresche intere e aggiungeva un pizzico di sale; amalgamava gli ingredienti e impastava energicamente per un quarto d’ora, fino a ottenere un panetto liscio ed elastico, che faceva riposare per mezz’ora. Poi stendeva l’impasto in sfoglie sottili, le adagiava sulla “chitarra” e, con il matterello, premeva con forza su e giù finché la pasta non veniva tagliata dalle corde; infine, batteva delicatamente la chitarra (ecco l’arpeggio!) per far cadere gli spaghetti tagliati. Il condimento tradizionale era il Ragù Abruzzese, un sugo ricco spesso arricchito da piccole polpettine di carne, le pallottine: le preparava con 300g di macinato misto (manzo e maiale), pecorino grattugiato, noce moscata, sale e pepe, formando pallottine piccolissime, della dimensione di una nocciola, che cuoceva direttamente nel sugo. Per il Ragù vero e proprio usava un litro di passata di pomodoro, un trito di carota, sedano e cipolla per il soffritto, e carne da sugo come muscolo di manzo o costine di maiale. Iniziava con il soffritto e la rosolatura della carne, che sfumava con vino rosso; poi aggiungeva la passata e le pallottine, lasciando cuocere a fuoco lentissimo per almeno 2-3 ore finché il sugo non diventava denso e saporito. “E ora,” esclamò Adele, “è il momento della magia!” L’acqua bolliva in una pentola gigantesca e non appena gli spaghetti alla chitarra vennero tuffati, l’aroma di uovo e semola si mischiò al profumo inebriante del ragù. In pochi minuti, la pasta quadrata e ruvida era cotta al dente. Adele la scolò e la versò direttamente nel calderone del sugo, mantecando con vigore. I piatti vennero riempiti e l’appetito della folla in festa fu saziato da quella meraviglia abruzzese. Il ragù denso aderiva perfettamente agli spaghetti ruvidi, e le piccole pallottine offrivano un boccone di sapore intenso. La gente mangiava ridendo, la piazza risuonava di chiacchiere, musica tradizionale e il tintinnio dei piatti. Gli spaghetti alla chitarra di nonna Adele erano più di un piatto: erano un inno alla convivialità, un abbraccio caldo sotto il cielo d’Abruzzo. E chiudendo gli occhi, si poteva quasi sentire la nota acuta e allegra delle corde della chitarra, lo strumento che aveva donato il suo nome a una delle paste più amate d’Italia.

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