Il mio cuore era una fortezza, ma tu eri il cavallo di Troia. Le loro voci, profetiche e caute, erano solo sussurri nel vento che accarezzava le mie mura, e io, sciocca, ho spalancato i portoni credendo di accogliere un eroe. Ma sei entrato non per abitare, ma per saccheggiare, per svuotare, per fare di me uno specchio del tuo io fasullo, un’ombra di quello che non eri.
Hai rubato la mia luce, la mia essenza, e l’hai usata per dipingerti un’immagine migliore, un quadro che non eri e non saresti mai stato. Hai negato ogni cosa, ogni mio respiro, trascinandomi in un labirinto di bugie, dove la verità era solo un’eco lontano. La mia ingenuità, hai sorriso, era il tuo terreno fertile, il tuo giardino segreto, dove hai seminato il dubbio e raccolto il mio dolore.
Hai chiamato gli avvoltoi, i tuoi complici silenziosi, e quando hanno iniziato a banchettare, ti sei voltato, senza uno sguardo, senza un rimorso. E io, lì, a terra, a guardare la mia anima fatta a pezzi, mentre il tuo volto si allontanava, sereno, come se nulla fosse accaduto. Forse è vero, mi hai detto una volta, che “ogni cosa che tocco soffre.” E così è stato, la tua maledizione è diventata la mia.
Il perdono? Non lo avrai mai. Ogni mio respiro è un macigno di rabbia, ogni mio pensiero è un urlo soffocato. Hai distrutto una parte di me che non tornerà più, e il prezzo di quella distruzione, non è una lacrima, non è un ricordo, ma la furia gelida e inarrestabile di chi ha perso tutto a causa tua.


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