Il cielo era un sipario strappato, non più azzurro ma ferita aperta,
brandelli di fumo e di fuoco danzavano macabri in un’aria che sapeva di morte,
e l’eco sordo di un’esplosione lontana vibrava, non suono ma brivido, nelle ossa.
Una madre, il cuore in gola, gli occhi sbarrati in un muto grido,
stringeva al petto il suo piccolo, un tesoro inestimabile, la sua ragione di vita.
Correva, le gambe mulinanti come impazzite, su un selciato che non era più terra ferma, ma un tremito continuo sotto i piedi.
Ogni passo, un sussurro al cielo, una preghiera disperata,
ogni respiro, un’agonia, un’implorazione muta affinché il tempo si fermasse.
L’odore acre del metallo bruciato si mescolava a quello della terra strappata,
un profumo di distruzione che soffocava ogni altro sentore di vita.
Macerie, schegge di vetro come lacrime solidificate,
lamiere contorte che danzavano in un balletto macabro di fine.
Le urla si perdevano nel frastuono assordante,
e il vento gelido portava con sé un lamento lontano, un pianto sommesso,
il suono di un’innocenza spezzata.
La donna, il viso rigato di lacrime salate, ma gli occhi fissi sulla speranza,
continuava la sua corsa disperata, una corsa contro il tempo e la fine,
verso un rifugio che forse era solo un miraggio.
Un’altra deflagrazione, vicinissima, questa volta non eco ma tuono che squarcia l’anima.
Il suolo si aprì, un boato infernale, un abisso che inghiottiva ogni certezza,
e un pezzo di muro, scagliato con una violenza inaudita,
la colpì, non solo il corpo ma l’anima, strappandola via.
Un grido strozzato, un gemito che si perse nel rumore del mondo che crollava.
Poi, un tonfo sordo, il corpo che si accasciava sulla strada,
come un pupazzo senza vita, un fiore reciso troppo presto,
lasciando il bambino, il suo piccolo amore, solo e indifeso,
nel caos incomprensibile che lo circondava.
Il piccolo, gli occhi spalancati, non capiva, solo sentiva il freddo e il vuoto.
Vide l’orsacchiotto, il suo compagno di giochi, scivolare dalla manina,
un pezzo della sua infanzia che si allontanava.
Poi, con un singhiozzo straziante, un suono che lacerava l’aria,
si inginocchiò accanto a lei, il suo piccolo cuore martellante nel petto.
Una mano tremante si allungò, cercava la stretta familiare, il calore che conosceva,
ma trovò solo il gelo, un silenzio che faceva più male di ogni rumore.
“Mamma… Mamma!” Il suo grido disperato, una lama nel silenzio assordante,
si spense, inghiottito dal fragore inarrestabile di una guerra crudele.
E lì, in mezzo al silenzio assordante che seguiva la distruzione,
al fumo che danzava come un sudario funebre,
e ai sussurri del vento che portavano via ogni speranza tra le macerie,
il bambino rimase solo, circondato da un mondo che non aveva più senso.
La sua piccola manina stringeva quella inerte della madre,
un’ancora spezzata in un mare di terrore e disperazione.
Un senso di solitudine infinita lo avvolgeva, un gelo che gli entrava nell’anima,
un’angoscia che gli stringeva il cuore in una morsa invisibile,
mentre il mondo continuava a crollare intorno a quel piccolo, indifeso amore,
rimasto solo con il suo dolore, in un silenzio che urlava.

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