Tra i suoi occhi, un universo timido,
un velo di brina sul mattino nuovo.
Il suo respiro, un filo sottile,
tremava, come foglia al primo vento.
Non parole, ma silenzi che parlavano
di mondi inesplorati, di paure antiche,
di muri eretti, mattone su mattone,
a difendere un cuore mai donato.
La sentivo fragile, come cristallo,
e ogni mio passo era misurato,
ogni sguardo, una carezza muta.
Le mani, cime di montagna inesplorate,
le accostavo piano, come a un segreto,
un sussurro sulla pelle, appena sfiorata.
E nel tremore suo, la mia pazienza
si faceva rifugio, calda coperta.
Poi un bacio, leggero come piuma,
un respiro condiviso, un battito doppio.
E in quel tocco, il suo universo chiuso
iniziò a dischiudersi, petalo dopo petalo.
Sentivo i dubbi sciogliersi, come neve
al sole di primavera, lenta, inesorabile.
Le sue mani, prima strette, ora cercavano
le mie, un intreccio, un’antica promessa.
E quando i corpi, finalmente, si trovarono,
non fu solo un’unione, ma un giuramento silenzioso.
Ogni sua paura, un eco che io spegnevo con un bacio,
ogni suo timore, un fardello che prendevo su di me.
Nei miei occhi, il suo porto sicuro, la mia forza,
l’ancora a cui poteva finalmente affidarsi.
E mentre la stringevo, sentii non solo la sua pelle,
ma la sua anima fiorire, protetta e amata, per sempre mia.

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