Dall’alto, un sussurro, un flebile vagito,
Come un’anima pura, dal cielo inviato,
Nasce il ruscello, un argento infinito.
Giù per la roccia, tra muschio e felci vive,
È la giovinezza, con le sue ingenue derive.
Gioca e gorgoglia, spensierato e puro,
Non sa del peso, del suo destino oscuro.
E le rocce, giganti sordi e cupi,
Sono gli ostacoli e i voleri altrui,
Deviano il corso, disegnando anfratti.
Costretto a cedere, a mutare sentieri,
Come il cuore buono, che si piega ai desideri.
Ignaro del fardello, dei futuri mestieri.
Poi i mulini, di legno e di fatica,
Come mani avide, con la loro antica preghiera,
Lo chiamano a sé, con la loro ansia antica.
Le pale girano, un ritmo lento e greve,
Il ruscello è il motore, che la vita eleva.
Trasformando il grano in un pane che nutre e che sazia,
Dona la forza, come un amore che abbraccia.
Ma in quel donare, un po’ di sé si spegne,
È l’essenza che si dissolve, la fiamma che non regge.
Come l’amore che si dà senza fine,
Nutrendo gli altri, lasciando sé in rovine.
E i pesci, saette d’argento e di vita,
Sono i fruitori, che la sua freschezza invita.
Abiti freschi, un rifugio beato,
Il ruscello si dona, mai ripagato.
Come i sorrisi offerti, senza un perché,
Assorbiti dall’ombra di chi prende solo da te.
È l’energia vitale, che si disperde nel nulla,
Un fuoco interiore che piano si annulla.
Scende più in basso, dove i pascoli si stendono,
E i paesini assonnati, al suo canto si arrendono.
Il bestiame assetato, nel suo grembo si ristora
È la mano che aiuta, senza remore ne ora,
Acqua che disseta, che ristora e conforta,
Ma ogni goccia donata, è una ferita che scorta
Via un pezzo di lui, della sua essenza profonda,
In questa donazione, la sua forza si affonda.
Come una candela che brucia per gli altri,
Illumina il mondo, ma si spegne tra gli sguardi.
E poi la valle, sterminata e muta,…
Dove ogni speranza si è quasi perduta.
Non più impetuoso, ma un filo sottile,
Come un ricordo sbiadito, un passo senile.
Il lago lontano, un sogno svanito,
Non può raggiungerlo, il suo essere è finito.
Un rivolo spento, assorbito dal suolo,
Dall’egoismo altrui, un amaro raggruppolo.
È il guscio vuoto, dopo aver dato tutto,
Un’ombra senza forma, un frutto caduto.
Così l’anima pura, che si è donata in pieno,
Diventa un’eco, un lamento sereno.
Assorbita dal mondo, che non le ha reso,
Nulla rimane, solo il peso di aver speso
Ogni scintilla, ogni barlume di sé,
Per chi ha solo preso, senza mai un perché.
Un monito amaro, in questo scorrere lento:
Non essere ruscello, o sarai un lamento.

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