Sono un veliero senza vento, la mia vela un sudario di sogni strappati,
ogni speranza un frammento di specchio infranto, disperso tra anni passati.
L’anima è un campo arido, la sete brucia fin nelle radici più nascoste,
ogni pioggia promessa, un miraggio danzante su terre esposte.
Le delusioni, macigni che premono sul petto, un’eterna litania di lutto,
un’eco stonata di risate sbiadite, ormai inghiottite dal fiato muto.
Sono un fiume che ha smarrito la sua foce, un serpente d’acqua in un deserto di sale,
intrappolato in anse di dolore, condannato a non scorrere mai più, a non trovare il suo finale.
Ogni ferita aperta è un graffio sulla roccia antica del mio essere, scolpita a sangue vivo,
incisa con lacrime amare, una storia che non smette di dolere, un sentiero mai conclusivo.
Ho visto il sole tramontare mille volte, come un occhio morente in un cielo di brina,
e la luna, impassibile, sbeffeggiarmi, una lama d’argento nella mia rovina.
La fiducia, un fragile cristallo, andato in mille, minuscoli pezzi di gelo,
e ora i miei occhi sono specchi appannati che riflettono solo i mestri veli
di ombre danzanti, fantasmi silenziosi di ciò che avrebbe potuto essere, un coro di assenze,
un vuoto assordante, una melodia di non-esistenze che non smette di espandere le sue urgenze.
Sono un guerriero stanco, la spada ormai così arrugginita da essere un ramo secco tra le mani,
ogni battaglia persa nel silenzio, ogni vittoria un eco lontano tra muri di vani.
E in questo abisso di quiete, dove solo l’amarezza ha messo radici profonde,
un’ultima, fievole scintilla, forse, un minuscolo punto luce tra le sponde.
Un sospiro appena percettibile, un soffio di vento su brace quasi spenta,
che forse, un giorno, mi sollevi da questo peso, questa stanchezza che mi veste e mi tormenta.

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