Sogni e poesie di una donna qualunque

Sono stata un’estranea, un groviglio di spine,
nel tuo sguardo paziente, un fuoco che bruciava.
Ricordo le tue mani, non carezze, ma catene,
le tue parole, echi di una prigione che creavo.
Volevo aria, spazi immensi, un cielo senza confini,
e tu, un orizzonte stretto, un muro invalicabile.
Eri la mia nemica, tra i miei sogni e i miei destini,
un’ombra ingombrante, irremovibile.

Poi il tempo ha tessuto fili d’argento nei tuoi capelli,
ha scolpito rughe profonde, sentieri di dolore.
Ti guardavo invecchiare, come un libro che si sfoglia,
e un velo si è levato, un brivido nel cuore.
Ho visto la tua forza fragile, il tuo amore muto,
la paura nei tuoi occhi, la stanchezza infinita.
E avrei voluto dirti, in un soffio, in un saluto,
che la mia rabbia era solo una ferita.

Ma il silenzio ha vinto, ha sigillato ogni parola,
e un giorno le tue mani si sono fatte fredde.
Il mondo si è fermato, ogni voce si è involata,
e la tua assenza, un pugno che mi morde.
Ora cammino sola, in un deserto senza fine,
ogni passo un’eco del tuo nome che non c’è.
Capisco la tua importanza, le tue cure divine,
ma è troppo tardi, mamma, sei volata via da me.

E il rimpianto è un macigno che mi schiaccia il petto,
un grido muto nell’anima che non trova pace.
Avrei voluto dirti, abbracciarti stretto stretto,
che eri la mia roccia, la mia unica brace.
Ora resta solo un vuoto, un dolore che non passa,
la consapevolezza amara di ciò che ho perduto.
E la solitudine è un’ombra che non mi lascia,
nel ricordo di un amore che non ho mai saputo.